Dolore cronico

L’impatto del Covid-19 sulle persone con dolore cronico

Il Covid-19 e le misure anti-contagio hanno avuto un grande impatto su chiunque, ma in particolare sui soggetti più fragili, come le persone con dolore cronico. Questi impatti sono stati descritti in un recente studio pubblicato sulla rivista Pain (Karos et al., 2020).

Il distanziamento sociale ha ad esempio contribuito ad aumentarne il senso di solitudine, già frequente tra coloro che convivono con patologie dolorose croniche a causa delle frequenti difficoltà lavorative e interpersonali. Il distanziamento sociale ha però paradossalmente anche obbligato a una maggiore vicinanza all’interno delle mura domestiche. Questo a volte ha contribuito a rafforzare i rapporti familiari, mentre altre ha ostacolato l’autonomia e l’indipendenza delle persone con dolore cornico (ad esempio per comportamenti più apprensivi dei familiari) o favorito situazioni interpersonali di conflitto o allontanamento (ad esempio la paura di non essere ascoltati o di essere un peso può aver innescato comportamenti di evitamento). Il ridotto accesso ai servizi di terapia del dolore, perché convertiti in servizi Covid, mancanza di personale o anche per la paura degli stessi di pazienti di accedervi e quindi rischiare di contagiarsi, ha spesso favorito la cronicizzazione di patologie dolorose acute o l’aggravamento di patologie croniche in atto. In alcuni casi, i servizi sanitari hanno fatto ricorso a forme di tele-assistenza. Tuttavia, se questo ha avuto un impatto positivo in alcune situazioni, in altre ha contribuito a generare iniquità sociali, specie fra coloro con più difficoltà nell’utilizzo degli strumenti informatici.

Molte di queste situazioni sono state vissute anche dalle persone che nei mesi del lockdown hanno fatto accesso allo sportello ISAL di consulenza medica e psicologica. Diversamente dagli autori dello studio, segnaliamo che alcune persone hanno anche tratto un altro tipo di giovamento dall’esperienza del lockdown. È come se l’obbligo di rimanere a casa avesse talvolta “livellato” le abilità di autonomia e mobilità, riducendo la disabilità percepita delle persone con dolore che si sentivano molto più simili a tutte le altre persone. Le maggiori difficoltà espresse al nostro sportello sono state invece legate alle preoccupazioni economiche, specie fra le persone con difficoltà lavorative preesistenti causate dal dolore che vedevano sempre più lontana la possibilità di trovare una nuova occupazione, e alla discontinuità di cura e quindi alla gestione dei farmaci in assenza di una guida medica.
Come gli autori dello studio, anche noi pensiamo che l’avere più tempo per dedicarsi a sé stessi e ai propri cari e l’uso di social media e strumenti di tele-health siano fondamentali per ottimizzare i servizi in questa seconda fase di rischio, creando fin da subito una rete di protezione per chi vive solo e attivare precocemente un sostegno a distanza per prevenire scompensi della patologia dolorosa in atto. Come evidenzia lo studio, saranno cruciali anche politiche e forme di sostegno che prevengano l’instaurarsi di ulteriori disuguaglianze sociali, e che al contempo favoriscano un accesso non discriminato alle nuove tecnologie.

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