Dolore cronico

Dopo 40 anni la IASP pubblica una nuova definizione di dolore

Il dolore è uno dei fenomeni più difficile da definire in modo esaustivo, soprattutto per la sua soggettività, e il fatto che la sua storica definizione, enunciata dalla IASP (l’International Association for the Study of Pain) nel lontano 1979, sia stata revisionata dopo più di 40 anni sembra esserne la riprova.

Il 2020 sarà ricordato come un anno importante da chi si occupa di terapia del dolore. Proprio ieri, infatti, la IASP ha pubblicato una nuova defizione di dolore, che riportiamo di seguito insieme alle note accompagnatorie anch’esse aggiornate.

Il dolore è una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a, o che assomiglia a quella associata a, un danno tissutale attuale o potenziale.

  1. Il dolore è sempre un’esperienza personale che può essere influenzata a vari livelli da fattori biologici, psicologici e sociali.
  2. Il dolore e la nocicezione sono due fenomeni differenti. La presenza di dolore non può essere dedotta solamente dall’attività nei neuroni sensoriali.
  3. Gli individui imparano il concetto di dolore attraverso le loro esperienze di vita.
  4. Il resoconto di un’esperienza di dolore dovrebbe essere rispettato.
  5. Sebbene il dolore abbia solitamente un ruolo adattivo, esso può avere effetti avversi sul funzionamento e sul benessere psicosociale dell’individuo.
  6. La descrizione verbale è solo uno dei tanti comportamenti usati per l’espressione del dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano o un animale esperisca dolore.

Per chi non la ricordasse, la precedente definizione di dolore era “una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a un danno tissutale in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”. Cosa cambia, dunque, dalla precedente definizione?

In sostanza, se prima il dolore era un’esperienza spiacevole che poteva anche essere solo descritta in termini di danno, ora essa può anche solo assomigliare a quella che si presenta in associazione a un danno dei tessuti. Questo sottile ma importante cambiamento è stato apportato perché il termine “descritta” implicava la capacità di descrivere verbalmente la propria esperienza di dolore, cosa impossibile ad esempio per i neonati, le persone con gravi deficit cognitivi o per gli animali, che pure esperiscono dolore. La IASP, in questo modo, ha cercato di creare una definizione che fosse il più possibile inclusiva a tutela dei soggetti più fragili.

La spiacevolezza rimane una caratterista distintiva del dolore, che la distingue da sensazioni fisiche come la vista o l’olfatto che sono affettivamente neutre (cioè che possono essere piacevoli o spiacevoli). A riprova del fatto che il dolore non rappresenti una semplice sensazione corporea, la IASP sottolinea come esso abbia sempre una componente emotiva, oltre che sensoriale, che la rende un’esperienza vissuta in modo del tutto personale. Il dolore, poi, può essere associato a un danno attuale, cioè che si è già verificato (ne è un esempio il dolore che si prova quando ci si taglia con una lama), oppure potenziale, cioè che potrebbe essere imminente ma non si è ancora verificato (ne è un esempio il dolore che sentiamo se tocchiamo una pentola rovente: sentiamo dolore ancor prima di scottarci e quindi procurarci una lesione!). Per giunta, il dolore può anche solo assomigliare all’esperienza solitamente associata a un danno dei tessuti corporei. Il riferimento è al dolore che a volte si presenta senza una evidente causa organica: questo è possibile e il fatto che non ci sia un danno biologico evidente non significa che il dolore sia irreale!

Ma la vera novità sta nelle nuove note accompagnatorie, ora molto più chiare e coerenti coi progressi della ricerca scientifica. Vediamole insieme:

  1. Il dolore è sempre un’esperienza personale che può essere influenzata a vari livelli da fattori biologici, psicologici e sociali.

Il primo punto sottolinea ancora una volta come il dolore sia sempre un’esperienza vissuta in modo del tutto personale. Rispetto alla definizione del 1979, il dolore è descritto come un’esperienza personale, invece che soggettiva, poiché quest’ultimo aggettivo poteva avere una connotazione negativa, come “non oggettiva” o “non reale”; la nuova definizione aggiunge inoltre che il dolore è sempre influenzato a vario titolo da fattori biologici, psicologici e sociali. È stata dunque sottolineata l’importanza di tutti questi fattori, che concorrono a rendere il dolore un’esperienza bio-psico-sociale.

  1. Il dolore e la nocicezione sono due fenomeni differenti. La presenza di dolore non può essere dedotta solamente dall’attività nei neuroni sensoriali.

Il secondo punto evidenzia la fondamentale differenza tra dolore e nocicezione. La nocicezione è il processo nervoso grazie al quale uno stimolo potenzialmente nocivo per l’organismo viene rilevato dalle estremità di alcuni neuroni sensoriali chiamate “nocicettori”, e poi trasformato in un impulso elettrico (una sorta di “messaggero”) in grado di raggiungere il cervello affinché possano essere predisposte le più opportune difese. Ma il dolore non corrisponde solo a tale attività inconsapevole e automatica dell’organismo, di per sé insufficiente – e a volte nemmeno necessaria – per generare questo complesso fenomeno.

  1. Gli individui imparano il concetto di dolore attraverso le loro esperienze di vita.

Questa nota sottolinea l’influenza delle esperienze di vita, e quindi dei processi di apprendimento, nel plasmare l’esperienza di dolore. Rispetto alla precedente definizione, le possibilità di apprendimento ora sono più ampie, perché vanno considerate non più solo le esperienze vissute durante la prima infanzia.

  1. Il resoconto di un’esperienza di dolore dovrebbe essere rispettato.

Questa nota è fondamentale e la IASP la collega direttamente alla Dichiarazione di Montréal, secondo cui la terapia del dolore rappresenta un diritto fondamentale dell’uomo. La precedente definizione di dolore non era del tutto chiara su questo punto, e lasciava spazio a dubbi riguardo alla natura del dolore che si presenta in assenza di evidenti cause biologiche. Ora è tutto più chiaro e questo consente di legittimare pienamente l’esperienza di dolore dei milioni di individui che provano dolore nonostante l’assenza di evidenti cause organiche.

  1. Sebbene il dolore abbia solitamente un ruolo adattivo, esso può avere effetti avversi sul funzionamento e sul benessere psicosociale dell’individuo.

Il dolore, benché spiacevole, ha una funzione biologica importantissima, perché ci avverte di un pericolo per l’organismo. In questo senso ha un ruolo adattivo, perché favorisce il nostro adattamento e la nostra sopravvivenza. Tuttavia, quando persiste per lungo tempo senza avere più un legame diretto con la causa che lo ha generato o addirittura senza cause – inizia ad avere conseguenze molto negative sulla persona, a livello sia fisico che psicosociale. Questo implica anche che è riduttivo, in ambito clinico, valutare la sola intensità del dolore, e che è necessario prenderne in considerazione l’impatto sul funzionamento quotidiano (es. relazioni interpersonali, familiari, lavorative) e sul benessere psicologico (es. ansia, rabbia, depressione).

  1. La descrizione verbale è solo uno dei tanti comportamenti usati per l’espressione del dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano o un animale esperisca dolore.

Quest’ultima nota, nuovamente a sostegno dei pazienti più fragili, sottolinea che le parole sono solo uno dei tanti mezzi utilizzabili per comunicare il dolore; la mimica facciale, i vocalizzi, l’irrequietezza ecc. sono ad esempio altri importanti segnali che possono comunicarne la presenza.

È stato anche inserito un approfondimento etimologico per sottolineare come la parola “pain” (dolore in inglese) derivi da una radice greca che rimanda al concetto di pena e punizione.

L’infografica qui sotto descrive nel dettaglio i cambiamenti apportati e delinea il lungo processo che ha portato a questa nuova revisione, grazie al lavoro di una task force internazionale di 14 esperti, dello stesso Consiglio IASP e un dibattito pubblico che ha coinvolto più di 800 persone tra ricercatori, professionisti sanitari e persone con dolore o loro familiari provenienti da 46 paesi.

A questo link potete leggere l’articolo integrale in lingua inglese pubblicato dalla task force IASP.

 

Michael Tenti

Psicologo e ricercatore

Fondazione ISAL

4 pensieri riguardo “Dopo 40 anni la IASP pubblica una nuova definizione di dolore

  • William Raffaeli

    Purtroppo in questa revisione la nota 5 rischia di generare un grave EQUIVOCO allorquando
    definisce i rischi derivanti dal dolore in maniera asettica e come se fosse casuale e reattivo al dolore percepito in acuto. Reputo che era obbligatorio introdurre una nota esplicativa che “il dolore in condizioni fisio- patologiche specifiche può trasformarsi in uno stato di patologia persistente o cronica che altera profondamente lo stato di salute della persona assumendo i caratteri esso stesso di una malattia idiopatica o secondaria caratterizzata da una disfunzione del sistema algico con alterazioni bio-psicologiche senza più alcun carattere adattativo ma solo lesivo dell’integrità psicofisica è sociale

  • William Raffaeli

    È interessante quanto poco progresso abbiano fatto le definizioni del Dolore da quanto espresso nei secoli precedenti : nei fatti l’attuale definizione potremmo reputarla una sintesi della teoria ottocentesca sulla specificità bioneurofisiogica del dolore e la teoria razionale filodofica che richiamando Aristotele sosteneva che il dolore non è una sensazione ma solo un processo emotivo, una “passione dell’anima”…. La sintesi del tutto trasformata inespressione scientifica visibile dalla biologia_fisiologia e RMN funzionale – spetct. Ora è tempo citando la parabola evangelica di passare a separare il grano dalla zizzania e dunque rivolgerci a suddividere bene la specificità della malattia dalla genericità del sintomo.

  • Antonio Servadio

    questo ed altri articoli che ho trovato nel sito ISAL non sono datati, non c’è modo di capire quando sono stati pubblicati, ciò sottrae gran parte del valore agli articoli. Vi suggerisco di rimediare inserendo in testata o in calce ad ogni pubblicazione la data di pubblicazione (e di revisione, se vi sia questo caso)

  • Antonio Servadio

    L’articolo si riferisce al dolore come esperienza dell’essere umano, nel contesto medico e clinico. Tuttavia si parla di dolore anche con riferimento agli animali (che, tra l’altro, non “parlano” e non possono elaborare nel nostro stesso modo l’esperienza del dolore facendo uso anche del pensiero astratto, logico), sia nei mammiferi (non solo animali da compagnia) sia in altre forme viventi quali gli invertebrati (si veda ad es la discussione circa i trattamenti etici “umanitari” (parole chiave: benessere animale; humane care) compresa la soppressione, sia per gli invertebrati utilizzati per ricerca di laboratorio, sia quelli utilizzati per nostra alimentazione. Non solo, ma anche nel mondo vegetale, che pure non dispone di un sistema nervoso fatto di neuroni, ma dispone di un sistema di segnali interni ed esterni che fa uso di differenze di potenziale elettrico, di differenze di resistenza elettrica e di chimica, si possono osservare reazioni assimilabili alla percezione di “dolore”. In buona sostanza, apprezzo molto il vostro articolo e segnalo che il concetto di “dolore” è assai più ampio di quel che il lettore comune può assimilare dalla lettura di questo comunque pregevole articolo.

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