Terapia del dolore cronico

Grünenthal a fianco di Fondazione ISAL. Un’intervista a Mauro Barusi

La lotta al dolore cronico si combatte grazie all’impegno di chi, quotidianamente, mette a disposizione competenze e strumenti per il progresso nella ricerca di nuove terapie e trattamenti. E in questa battaglia, in prima linea, c’è Grunenthal, azienda farmaceutica nata in Germania agli inizi degli Anni Cinquanta, che ogni anno investe oltre il 19% del suo fatturato in ricerca e che, fin dalla prima edizione, si schiera nelle piazze italiane ed estere al fianco di Fondazione ISAL nell’appuntamento annuale di Cento Città contro il Dolore.
“Ho partecipato personalmente a tutte le edizioni, credendo fortemente nel progetto Cento Città, un’azione fondamentale di informazione e sensibilizzazione che porta nelle strade, negli ospedali e nelle piazze la conoscenza di un diritto che molti italiani ancora ignorano, nonostante una legge che lo legittima e di cui pochi conoscono l’esistenza: il diritto a non soffrire inutilmente”.

Con queste parole Mauro Barusi, responsabile governamental affaire dell’azienda, ritorna a precisare l’importanza della manifestazione, in un quadro di labile applicazione della legge 38 del 2010, che regola, appunto, l’accesso e la somministrazione alle terapie del dolore.

Cento Città contro il Dolore rivive ogni anno anche grazie all’impegno di Grunenthal. Dottor Barusi, ci spieghi le evoluzioni dell’iniziativa durante queste otto edizioni…
“Ritorno a dire (e non mi stancherò mai di farlo) che nel mondo del dolore cronico niente viene regalato ai pazienti, se non siamo noi per primi – professionisti del settore – a smuovere i pregiudizi e i vuoti di conoscenza intorno ad un tema così sensibile e per molti ancora controverso. La prima edizione di Cento Città era una versione molto più asciutta di quello che è diventata dopo la manifestazione. Eravamo presso gli stand per fornire linee guida sul tema e indirizzare i pazienti e i semplici cittadini verso il centro di cura più vicino, oltre che una prima diagnosi di inquadramento. Oggi facciamo molto di più e grazie all’impegno di decine di volontari siamo presenti sui territori, stabiliamo contatti diretti con i cittadini e, soprattutto, forniamo delucidazioni e spiegazioni mirate a tutti coloro che sono affetti dalla patologia. Abbiamo stampato il testo di legge, lo abbiamo distribuito nelle sale d’attesa di cliniche ed ospedali, ci confrontiamo personalmente con i pazienti, ma non basta. Perché, ricordo anche questo, il dolore è una patologia. E non può e non deve essere curata come un’estensione di altre malattie”.

Cosa manca, a suo avviso, nell’applicazione della legge 38?
L’applicazione stessa della legge. Sembra un paradosso, ma è così. Grunenthal lavora a stretto contatto con le istituzioni competenti, ma nella concretezza della quotidianità di un malato non c’è omogeneità da nord a sud nell’applicazione del primo articolo: il diritto del cittadino ad essere curato dal dolore. Ed è un vero spreco: il testo della 38, nella teoria, ci pone all’avanguardia a livello mondiale. E da più di cinque anni, ormai, possiamo dire che è stato fatto molto poco affinché la legge non restasse solo un’insieme ben formulato di ottime intenzioni. Siamo fermi a pratiche obsolete, le terapie del dolore sono lasciate alla libera iniziativa e questo non deve essere permesso in un Paese che si prende cura dei suoi cittadini.

Qualche passo avanti, però, c’è stato…
Certamente! Anzi, siamo molto felici che ci sia stato un incremento, sebbene ancora da incentivare, dell’uso di medicinali oppiacei negli ospedali italiani. Molti, tra i pazienti terminali, hanno potuto avere l’opportunità di dire addio alla vita nel proprio letto, vicino ai propri cari, anziché nell’asettico contesto ospedaliero. E questa condizione, che per un paziente – fidatevi – è assolutamente da non sottovalutare, una delle più grandi conquiste della terapia dal dolore. Dunque, qualche buon segnale si è visto, ma resta ancora cristallizzata una “oppio-fobia”, che talvolta associa, cadendo in un grande errore, l’uso degli oppiacei ai soli malati terminali. Niente di più sbagliato.

Come reagiscono i cittadini che contattate durante Cento Città alla notizia che una cura al dolore cronico in Italia c’è ed è un diritto di tutti?
Uno degli aspetti più importanti del nostro lavoro è riuscire ad ottenere un sorriso da chi soffre, donando loro una speranza. Sono tante le persone che, presso gli stand, ci dimostrano gratitudine perché riescono a comprendere finalmente la vera natura del dolore che li affligge, ma sono tanti anche coloro che – sebbene siano in salute- si dimostrano interessati per poter poi far dono di tali informazioni ai loro cari che soffrono.

Quali sono le strategie che Grunenthal applica per garantire sviluppo e conoscenza nel mondo del dolore cronico?
La nostra strategia è fondata su tre pilastri: la formazione, intra ed extra aziendale, che prepara i medici ad affrontare le varie problematiche; la comunicazione e, ovviamente, la ricerca. Con le nostre terapie ci prendiamo cura di un ampio bacino di pazienti, in particolare e soprattutto di coloro affetti da dolore cronico benigno, come dolori articolari, lombosciatalgie, sciatiche e dolori di tipo neuropatico, di difficile diagnosi.

Ad esempio?
Uno su tutti l’herpes zoster, che oggi finalmente curiamo grazie ad un cerotto con anestetici locali.

Quali novità aspettano i pazienti affetti da dolore cronico?
A gennaio lanceremo un prodotto che cambierà radicalmente il trattamento del dolore acuto post operatorio che, se non curato adeguatamente, si trasforma in meno di un anno in dolore cronico da cui sarà molto difficile liberarsi in seguito. Grazie al nostro nuovo strumento di Pca (patient control analgesia) è il paziente che si auto somministra il farmaco e contrasta il dolore, direttamente dal suo letto di degenza, trovando sollievo immediato.

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